La scelta, nell’aria da diverso tempo, è stata comunicata dalla Sala Stampa della Santa Sede: il commissario dell’associazione dei consacrati, di cui fa parte anche Roberto Formigoni, sarà monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto. Il braccio di ferro tra Cl e il Vaticano è già in atto da tempo e si tratta soltanto di un primo passo in vista di una revisione di tutta Cl
Ma il braccio di ferro tra Cl e il Vaticano è già in atto da tempo. Subito dopo la pubblicazione del decreto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita che ha messo fine alle presidenze a vita dei movimenti ecclesiali, Carrón ha prima dato la sua “piena disponibilità a dare seguito a quanto richiesto”. Poi, però, lo scenario è cambiato ed è iniziato lo scontro con la Santa Sede. Il 16 settembre scorso Carrón e Frongillo non si sono presentati all’incontro dei vertici dei movimenti ecclesiali con il Papa organizzato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Al suo posto, Carrón ha mandato il vicepresidente di Cl, Davide Prosperi.
Un’assenza che non è di certo passata inosservata agli occhi di Bergoglio e del cardinale Farrell e che ha segnato maggiormente e pubblicamente la frattura tra la Comunione e liberazione e il Vaticano. Da qui la decisione di Francesco di commissariare i Memores Domini e di verificare l’intera governance di Cl. La scelta del Papa è caduta su monsignor Santoro che appartiene al movimento fondato da don Giussani, anche se all’interno viene da sempre considerato una figura abbastanza periferica. Si tratta soltanto di un primo passo in vista di una revisione di tutta Cl, realtà di cui fa parte anche il cardinale Angelo Scola che nel conclave del 2013 sfidò Bergoglio nell’ascesa al papato. Il porporato, arcivescovo emerito di Milano, il 7 novembre prossimo compirà 80 anni e perderà il diritto di voto in un eventuale conclave.
Proprio nell’incontro con i vertici dei movimenti ecclesiali snobbato da Carrón e Frongillo, il Papa ha sottolineato che “cadiamo nella trappola della slealtà quando ci presentiamo agli altri come gli unici interpreti del carisma, gli unici eredi della nostra associazione o movimento; oppure quando, ritenendoci indispensabili, facciamo di tutto per ricoprire incarichi a vita; o ancora quando pretendiamo di decidere a priori chi debba essere il nostro successore. Questo succede? Sì, succede. E più spesso di quello che crediamo. Nessuno è padrone dei doni ricevuti per il bene della Chiesa, siamo amministratori, nessuno deve soffocarli, ma lasciarli crescere, con me o con quello che viene dopo di me. Ciascuno, laddove è posto dal Signore, è chiamato a farli crescere, a farli fruttificare, fiducioso nel fatto che è Dio che opera tutto in tutti e che il nostro vero bene fruttifica nella comunione ecclesiale”.
Ricevendo i membri di Cl nel 2015 in piazza San Pietro, Francesco affermò: “Uscire significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una ‘spiritualità di etichetta’: ‘Io sono Cl’. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una Ong”. Parole che non furono per nulla apprezzate dal movimento di don Giussani, come ora non è stato ovviamente gradito il commissariamento.
Il Fatto